Re-commerce: che cos’è e perché sta diventando così importante

Re-commerce: che cos’è e perché sta diventando così importante

È l’alba degli anni Duemila, quando internet, per la maggior parte delle persone, è solamente una scatoletta rumorosa che tiene occupata la linea telefonica. Sulle reti televisive nazionali viene diffuso uno spot dove Mauro Coruzzi, in arte Platinette, pubblicizza il primo sito italiano di aste online, ibazar.it, che nel 2006 verrà accorpato a eBay. È solo un piccolo esempio di come il re-commerce. ossia la rivendita di oggetti usati, sia stata, in qualche modo, la prima forma di commercio elettronico. E per qualche ragione, proprio in questi ultimi tempi, questa pratica sta tornando di gran moda non solo tra privati, ma anche tra i grandi brand. Oggi ci concentreremo proprio sul recommerce, che potrebbe essere la vera novità del 2023.

Il re-commerce, alle origini del commercio elettronico

Il termine Reverse Commerce, in breve re-commerce secondo la definizione fornita nel 2005 dal fondatore del Forrester Research, George F. Colony, al New York Times, è la rivendita online di beni già usati da parte di piattaforme specializzate in questa strategia di compravendite, come per l’appunto eBay o Vinted, oppure da parte di brand, come potrebbe essere il programma Amazon Warehouse o Zalando Second Hand. Si tratta, pertanto, di una strategia di vendita che può essere C2C (consumer to consumer), come nel caso di eBay dove privati vendono i propri beni usati, e B2C (business to consumer), dove gli stessi brand commercializzano i propri prodotti di seconda mano, come nel caso di Apple Certified Refurbished.

Gli esempi di recommerce, come si può vedere sin da subito, sono numerosi. Negli ultimi tempi, come ci ha dimostrato per l’appunto la martellante campagna di Vinted, l’interesse verso questa forme di commercio elettronico è cresciuto, sia da parte dei consumatori sia da parte dei brand. I motivi, sempre secondo quanto spiegato da Colony, sono diversi: da un lato l’esigenza dei consumatori risparmiare e dall’altra la ricerca di una maggiore sostenibilità delle persone. Vediamo nello specifico i vantaggi di questa strategia di vendita.

I vantaggi del re-commerce: sostenibilità, marketing e molto altro

In un settore dove il rischio di omologazione e ristagno è molto elevato, strategie innovative di vendita possono essere manna dal cielo. Sicuramente, almeno per adesso, il re-commerce rientra a pieno titolo nella categoria delle novità che possono offrire grandi possibilità di comunicazione. Dal punto di vista del marketing, quindi, il re commerce è una grande leva su cui premere da più punti di vista.

Anzitutto, il tema della sostenibilità su cui c’è sempre maggiore attenzione da parte dei consumatori. In questo senso, risulta evidente a tutti che allungare la vita di un bene, per cui è stato necessario “spendere” risorse energetiche e di materie prime, significa, in un certo senso e ad alcune condizioni, ridurre il suo impatto sull’ambiente. Di contro, il brand che immette sul mercato il prodotto di seconda mano si deve fare garante, in qualche modo, della sua qualità. Questo, tuttavia, può rappresentare un altro notevole punto di forza: in un contesto dove la fiducia del consumatore risulta un valore incommensurabile, riuscire a farsi garante della qualità di un prodotto di seconda mano e rispettare la fiducia riposta del consumatore non può che migliorare il rapporto tra il brand e il consumatore stesso.

Il secondo vantaggio, invece, è di natura economica. Da un lato, il produttore del bene può immettere sul mercato un prodotto su cui marginare, quasi senza impegnare ulteriori risorse materiali ed energetiche. Dall’altro, il consumatore può acquistare un prodotto a un prezzo inferiore a quello di vendita dello stesso bene venduto da nuovo. Questo si traduce in un ampliamento del target di vendita e, dunque, in una maggiore diffusione del brand e, al contempo, un potenziale ritorno economico maggiore.

Il business model B2C del re-commerce

business model re-commerce

Il modello di business del re-commerce per un brand, in realtà, è molto semplice in quanto si configura come un’estensione del modello dell’ecommerce puro. Alla fase di produzione, vendita e consumo del bene, si aggiunge un ciclo che si sostituisce in una certa misura alla fase di produzione.

Com’è possibile vedere dallo schema, infatti, terminata la fase di consumo di un certo bene (p.es. un abito) da parte del consumatore, questo viene raccolto dal brand. Tralasciamo, per semplicità, tutte le questioni di natura fiscale circa il riacquisto di un bene usato poiché esulano da questa trattazione. Una volta che il brand sarà entrato in possesso del prodotto, questo attraverserà una fase di selezione: ciascun prodotto sarà quindi vagliato secondo degli standard qualitativi (p.es. l’abito è sdrucito?) e, se ammesso, passerà alla seconda fase. Questa, che abbiamo chiamato ricondizionamento, riguarda la messa a nuova dell’oggetto (p.es. lavaggio, sterilizzazione e stiro). Queste due fasi, in definitiva, sono quelle che consentono di apporre il sigillo di garanzia sul prodotto usato. Una volta terminate queste fasi, e dunque apposto il sigillo di garanzia, il prodotto potrà essere avviato nuovamente alla vendita.

Alcuni esempi di re-commerce tra i grandi brand

Come detto in apertura, negli ultimi tempi il fenomeno del re-commerce è cresciuto costantemente. A tal punto che non sono stati solamente i siti specializzati nelle aste private a interessarsi agli articoli di seconda mano, ma anche i grandi brand. È interessante guardarne qualcuno da vicino, perché possono offrire interessanti spunti di riflessione.

Uno degli esempi più interessanti degli ultimi tempi è quello di Nolhtaced. Se il nome non vi dice niente, provate a leggerlo al contrario e vi stupirete nel leggere Decathlon. La costola belga dell’azienda articoli sportivi ha sperimentato, nel 2022, la pratica di riacquistare prodotti di seconda mano, tramite buoni rispendibili negli stessi negozio Decatlhon, da ricondizionare e utilizzare per il servizio di noleggio di articoli sportivi in abbonamento. Secondo i dati diffusi, nei tre store coinvolti nell’iniziativa sono stati acquistati circa 26 mila articoli ed emessi buoni per un valore complessivo di oltre 593 mila euro. Di tutti i prodotti acquistati, circa 40 mila articoli compresi i 15 mila beni provenienti da resi, modelli di prova o da esposizione, sono stati venuti circa l’80% del totale.

Ovviamente, uno dei settori dove la strategia sta facendo più proseliti è quello del fashion. Non a caso, brand come Zalando hanno una specifica sezione di Second Hand dove è possibile acquistare articoli usati a prezzi ridotti. Tuttavia, non solo i siti specializzati nella vendita, ma anche i brand si sono interessati al fenomeno. Per esempio, Levi’s Secondhand è la piattaforma creata dal noto produttore di blue jeans per acquistare prodotti a proprio marchio di seconda mano. Il messaggio è subito messo in chiaro: «Se tutti acquistassero un oggetto usato quest’anno, invece di acquistarne uno nuovo, risparmierebbero 203 milioni di chilogrammi di rifiuti». E poi, come tutti sanno e come rimarca lo stesso produttore, i Levi’s «Migliorano solo ad ognib strappo». La strategia è semplice: in uno dei negozi partecipanti all’iniziativa è possibile consegnare un jeans che si intende rivedere e i negozianti restituiscono un buono da spendere quando si vuole. I prodotti vengono quindi ripristinati e quindi rimassi in vendita.

Insomma, è chiaro che il recommerce risulta una strategia da provare quest’anno per offrire un’alternativa ai propri clienti. Magari, inizialmente, contemplando solamente gli articoli resi e comunicando con forza il significato che intendiamo dare all’iniziativa.

Autore

  • Marco Di Bello

    Dal 2015 sono il Responsabile dell'Ufficio Stampa di Ecommerce HUB. In questo ruolo mi occupo di coordinare tutte le attività di PR con la stampa e di promuovere l'immagine dell'evento attraverso interviste, dirette e altri contenuti.

Tags: